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Confine

Era una domenica d’estate, di quelle torride, senza nemmeno un filo di vento. Così decisi di andare al mare.

Mentre guardavo il cielo e il mare sconfinato, ma confinato dal nostro campo visivo e così anche dalla nostra mente. Ho sentito: “ma quando si evolvono? Ma non sta morendo di caldo? “.
Tutto questo perché indossavo il burkini (parola coniata dalla fusione di burqa e bikini).
Addirittura una signora sulla cinquantina, dal sorriso caldo e accogliente, si avvicinó e mi disse: “soffro per te”. Io per abbattere le distanze, ricambiai il sorriso e le dissi: “guardi, tocchi pure il mio braccio. Fresco vero?” e lei: “si! È vero!”.
Segue una lunga conversazione che vi risparmio per il momento!

Mentre ci concedavamo, tra me e me sorridevo, perché già la mia mente vagava in uno dei suoi tanti vaneggi.

Confine: una linea che separa o unisce?

E se un confine non è condiviso. Ha ancora senso parlare di confini?

Il concetto di confine è uno degli strumenti che impieghiamo per padroneggiare la realtà, forse per un innato bisogno del limite, di certezze o semplicemente perché abbiamo bisogno di ‘confini’ per organizzare il nostro pensiero.
Spesso usiamo la parola confine e i suoi sinonimi in senso figurato e metaforico, come se per ragionare avessimo il bisogno di individuare linee di divisione.

Infatti spesso ci serviamo di ‘de-finizioni’, operazioni che stabiliscono confini tra concetti e tra parole, che ci consentono di usare bene quei concetti e quelle parole. In genere, porre dei confini ci serve per dare un senso alle cose. Il problema sorge quando quei confini finiscono per limitarci.

Ogni tanto mi ritrovo ad aprire il vocabolario e a ricercare il significato autentico di una parola, che spesso è diverso da quello comunemente attribuito
La parola fine viene dal latino (finis) e, come in italiano, indica la conclusione di qualcosa (in latino veniva usata proprio per indicare il confine); ‘con-fine’ vuol dire che quella conclusione è comune, è la stessa per entrambi i terreni.
Il concetto è chiaro: confine è la linea lungo la quale corre una divisione, una separazione, una discontinuità. Però, dato che la divisione avviene lungo una linea, quella è al tempo stesso anche una linea di contatto: perciò un confine qualsiasi non solo separa, ma anche unisce.
In natura, poi, non esiste discontinuità, e, quindi, qualsiasi confine, qualsiasi limite è puramente artificiale e convenzionale.

Poi penso al come si concretizza esternamente in senso lato un confine e al come finiamo per umanizzare il mondo esterno secondo la nostra forma mentis. Così penso al confine politico, ovvero a quella linea che separa uno Stato da un altro.
Tutti i confini che mi vengono in mente in quel momento sono artificiali o del tutto arbitrari, come nel caso delle linee rette che separano gran parte degli Stati dell’Africa, i cui confini furono disegnati a tavolino dalle potenze coloniali (colonialismo), perché non tengono conto degli elementi naturali del paesaggio, ne tanto meno del naturale decorso della cultura del luogo o dello sviluppo delle diverse etnie. Eppure, ancora oggi ci ostiniamo in costruzioni di nuovi muri e in sterili nazionalismi, anche post 1989.
Mi si stringe un nodo alla gola, mentre penso al come ancora oggi, in certe regioni d’Africa si parla come prima lingua nazionale il francese o l’inglese, la lingua del ” conquistatore” e non la propria lingua autoctona, come se in realtà la liberazione non ci fosse mai stata.

Dopo questa piccola digressione, per niente esaustiva, ritorniamo al nocciolo della questione: visto che il confine è un artifizio della nostra mente, spesso limitante, ha senso perseguire in questa direzione?

Soprattutto in un’epoca in cui siamo sul punto di riperdere il lato migliore dell’essere umano, almeno uno dei tanti, ossia la nostra umanità.
Perchè non impiegare il proprio tempo nel costruire ponti. Non sarebbe meglio?

Poi dopo tutti questi vaneggi, realizzo che il miglior ponte è l’essere umano che ti tende una mano di aiuto nel bisogno, una parola di conforto nel disagio e un sorriso nel grigiore delle nostre città.

Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli.
Martin Luther King

Sabrin Abboud

About Sabrin Abboud

È questo che in tante vite è andato smarrito: il senso della propria vocazione, ovvero che c'è una ragione per cui si è vivi. NON la ragione per cui vivere. NON il significato della vita in generale o la filosofia di un credo religioso. Ma la sensazione che esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo e che esistono cose alle quali mi devo dedicare, al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragione d'essere. La sensazione che il mondo, in qualche modo, vuole che io esista. La sensazione che ciascuno è responsabile di fronte a un'immagine innata i cui contorni va riempendo nella propria biografia. Di James Hillman da Il codice dell'anima. Ho scelto questa citazione, da questo libro, perché esprime molto meglio di come avrei potuto dire io, con le mie parole, il motivo che mi ha spinto a far parte alla nascita di questo blog, il mio percorso di studi e le mie più grandi e intime aspirazioni. Mi chiamo Sabrin Abboud, ho 23 anni. Sono nata e cresciuta in Italia, nella mia amata Sicilia. Ho origini egiziane e marocchine. Sono iscritta all'università, nel CdL Medicina e Chirurgia. Amo la fotografia, leggere, dipingere e stare all'aperto. La mia sezione ho preferito chiamarla etulas, perché voglio trattare della salute sotto un altro punto di vista, spesso trascurato dai mass media, eppure fondamentale. Come i determinanti sociali di salute, inquinamento ambientale, salute mentale, salute nelle carceri, salute internazionale e diritti umani. Citazioni preferite: - "E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l'umanità. " Da il Corano “l'uomo non è interamente colpevole, non ha dato inizio alla storia; né è del tutto innocente poiché la continua” A. Camus