<< L’epidemia di Ebola costringe a riflettere. 2 pazienti su 3 sono morti in Africa. Uno sì, due no, uno sopravvive e due muoiono.
In Europa e negli USA, invece, sono stati curati complessivamente 25 pazienti. 5 sono morti e 20 sopravvissuti. 66 % di mortalità in Africa, 20% nei Paesi ricchi. Perché questa differenza?
O per dirla in modo meno asettico: perché la stessa malattia lascia speranza, o condanna a morte? Risposta semplice: la differenza la fa la “cura”. Cittadini di prima e di seconda classe, chi ha diritto alla cura e chi non ce l’ha.
Quando ero studente ho avuto il privilegio di conoscere e di ascoltare il grande maestro di etica e di medicina Giulio Alfredo Maccacaro. Scriveva all’inizio degli anni settanta “Non si insegna, non si divulga e quindi non si sa che la vita media non usava distinguere per classi sociali fino all’inizio della rivoluzione industriale: è con questa che la morte e la malattia imparano a discriminare sempre più severamente ed attentamente, entro una stessa collettività, tra ricchi e poveri… ci si ammala e si muore di classe, come sulla tragica tolda del Titanic”.
A bordo del Titanic, su un totale di 143 viaggiatrici di prima classe solo 4 perirono (3 avevano scelto volontariamente di rimanere sulla nave), mentre tra le viaggiatrici di terza classe 81 donne su 179 affondarono con la nave.
Lo stesso destino dei malati di #Ebola, nei Paesi ricchi o in Africa.
Siamo tutti consapevoli che non esiste ancora una cura specifica per l’Ebola, ma “una cura” è stata possibile “outside Africa”, e ha guarito l’80% dei pazienti.
E allora perché non renderla disponibile anche “inside Africa”, ad esempio in Sierra Leone?
Si sa, “in Africa mancano le risorse” è il ritornello, la “spiegazione” che diventa poi giustificazione della scelta di continuare a discriminare, di continuare con la medicina “per i poveri”.
“Eh, mah, cure più complesse sono da valutare, bisogna considerare il contesto”… si sente noiosamente ripetere ad ogni meeting da varie organizzazioni istituzioni ed esperti.
Conosciamo il contesto dell’Africa, e della Sierra Leone, dove lavoriamo da 14 anni. Ma non siamo qui per giustificarlo, anzi dobbiamo e vogliamo migliorarlo. È il grande sforzo che lo staff internazionale e sierraleonese di EMERGENCY sta facendo: costruire un contesto di diritti condivisi, praticare una medicina senza discriminazioni. Gli strumenti a disposizione per salvare una vita (pochi o tanti, efficaci o inutili che siano) devono essere resi disponibili a tutti.
Mancano risorse? Troviamole.
Non è mai esistita una terapia intensiva per l’Ebola (e sfortunatamente non solo per l’Ebola) in Africa?
Facciamola.
In Europa e negli USA tutti i pazienti sono stati curati (e 4 su 5 sono guariti) in reparti di terapia intensiva, non solo di isolamento, a hanno ricevuto assistenza continuativa e non sporadica.
Si deve e si può fare una terapia intensiva dello stesso livello, o molto simile, anche in Africa.
È un obbligo morale e scientifico, e un progetto realizzabile: queste foto lo testimoniano, siamo in Sierra Leone a portare medicina, non solo “compassione” >>
Gino Strada
Freetown, Sierra Leone, 30 gennaio 2015
http://www.emergency.it/sierraleone/lettera-di-gino-strada-30-gennaio-2015.html
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Gino Strada, per chi non lo conoscesse è il fondatore di Emergency. E’ tra gli operatori sanitari impegnati a combattere in prima fila l’Ebola, a garantire cure di elevata qualità, a costruire ospedali laddove necessari e a formare personale sanitario locale affinché diventi autonomo nel gestire gli ospedali. Perché le attività sostenute da emergency sono prive di lucro.
Non solo medici, ma anche infermieri (2.), operatori socio-sanitari, anche un’antropologa (3.) maria cristina manca, per due mesi in Guinea a Gueckedou, ha cercato di sensibilizzare la popolazione dei villaggi locali sulla malattia e sui comportamenti da evitare per contenere il contagio.
Di fronte ad una crisi di questo tipo oltre che sanitaria, anche umanitaria, non si può rimanere fermi. E esperienze di questo tipo mi fanno ancora sperare nel genere umano. Perché di fronte a tanto e quotidiano male, esiste il bene.
Di seguito vi lascio un link, dove troverete un documentario dal titolo “ La vita ai tempi dell’ebola”, per rendere di più l’idea di cosa significa vivere lì.
http://www.rsi.ch/rete-uno/programmi/intrattenimento/il-documentario/La-vita-ai-tempi-dell’ebola-3540028.html
Giovanni Falcone
E giusto per prenderci le nostre responsabilità vi lascio con questa notizia:
Due settimane fa l’organizzazione non governativa Oxfam ha rivelato che l’1 per cento più ricco della popolazione possiede ormai il 48 % della ricchezza mondiale. E che entro l’anno prossimo possiederà più di tutto il resto degli abitanti messi insieme (.1)
Fortuna che c’è chi si impegna per abbattere queste barriere, affinché le cure non siano un privilegio ma un diritto.
1. http://www.oxfam.org/en/pressroom/pressreleases/2015-01-19/richest-1-will-own-more-all-rest-2016
2.http://www.repubblica.it/solidarieta/2014/11/01/news/chiara_l_ebola_la_paura_e_la_speranza_l_infermiera_di_msf_racconta_l_emergenza-99491501/
3.http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Ebola-Africa-antropologa-medici-senza-frontiere-sensibilizzazione-popolazione-a81dd949-71c3-408c-9082-8fb2d1689b17.html?refresh_ce