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5 minuti di islamofobia

27/04/2015, Milano, Stazione Centrale

Scendo dal treno e corro lungo tutta la banchina per raggiungere la mia coincidenza, ma guardando lo schermo delle “partenze” mi accorgo che non è ancora stato segnalato il binario del mio treno. Tocca aspettare.

Milano, frenetica, come sempre. Spintoni, gente che corre, persone che portano cinque volte il loro peso nelle valigie, ragazzini in gita e uomini d’affari incollati ai propri smartphone. Già, gli smartphone, il miglior amico di ciascuno di noi. O la peggior droga.

Poi vedo lui: alto e robusto, carnagione chiara, una shashia nera in testa (cappellino simile alla kippah ebraica ndr), una lunga barba rossa, una lunga tunica nera sopra quelli che sembrano dei pantaloni bianchi e un paio di scarpe.
Infine noto le sue mani: ha un cellulare e sta digitando qualcosa.

E’ così che cominciano i miei cinque minuti di islamofobia: senza dare nell’occhio, appoggiato a una colonna, comincio a pensare a cosa sta digitando, a chi sta scrivendo.
Vedo una marea di gente lungo tutta la banchina che continua a fare avanti e indietro e lui fermo immobile con il suo cellulare.
Effettivamente, si sta avvicinando l’EXPO, teoricamente Milano dovrebbe cominciare a sovrappopolarsi, a diventare ancora più caotica di quello che è già e le paranoie raccontate da TV e amici cominciano a farsi sentire.

Comincio a guardare dove guarda lui, ma non noto nulla di strano. Controllo a terra se ci sono zaini o borse lasciate incustodite ma ci sono talmente tante persone che è impossibile notare qualcosa.
Beh, d’altronde se ci dovesse essere uno zaino o una valigia senza proprietario, non sarebbe li, così vicina a lui.

Arriva l’illuminazione: standogli vicino sarei sicuro che, qualunque cosa accada, non dovrebbe toccarmi.
Prima di avvicinarmi, guardo di nuovo lo schermo delle partenze, noto che è stato segnalato il binario del mio treno e poi riguardo di nuovo lui.
Avvicina il cellulare all’orecchio, sfoggia un sorriso, comincia a ridere di gusto con il suo interlocutore e se ne va.

Vado verso il mio treno e torno nel mondo “reale”.
Saranno stati i troppi film, saranno state le troppe notizie, sarà stato il troppo Salvini, ma è come se tutti i pregiudizi (e una quantità generosa di egoismo) si fossero riversati su di me tutti in una volta. Inconsciamente avrei voluto scusarmi con quel signore.
Perché non ho sospettato di altri? Perché lui e non l’uomo d’affari? Anche lui aveva un cellulare in mano, no?

Nonostante sia musulmano, nonostante conosca tanta gente che si veste in ugual modo, tante persone come lui che non hanno mai fatto male a una mosca, mi sono sentito per un attimo un “italiano medio”, ovvero l’italiano che si informa dai canali mainstream, che non conosce e non ama conoscere persone di nazionalità, etnia o religione diversa.

Come biasimarli, a questo punto? Come biasimare chi la pensa diversamente, a volte anche con veemenza, a causa dei bombardamenti mediatici, della xenofobia strisciante che si sente in TV, sui giornali e nelle radio?

Mi sono sentito dall’altra parte della barricata.
Ho sentito il peso che i media possono avere nella testa di una persona.
E non è stato per niente bello.

Sam

About Sam

di origine siriana, nato a Milano, triennale a Biella e magistrale a Torino in ingegneria dei materiali. Perché ho fatto tutto questo giro? Ancora non riesco a spiegarmelo. Ma forse proprio grazie a questo che sto imparando a vivere tra due mondi, a cogliere il bene di entrambi ma allo stesso tempo costringermi a cercare "il pelo nell'uovo" in ogni cosa, a mettere in discussione tutto e non dare per scontato nulla, dalla quotidianità alla religione. Se dovessi descrivermi in una frase citerei "Quis custodiet ipsos custodes" ovvero "Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?". Niente di più vero.