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Ali il leone e Cecil il palestinese

Non è stata facile quest’ultima settimana ed è stata costellata da tristi eventi.
Al di là delle recenti decisioni da parte di Erdogan di partecipare attivamente alla guerra contro l’ISIS e il PKK, sono state ancora più toccanti le tragedie umane (e non) degli ultimi giorni.

E’ stato disgustoso il gesto di alcuni coloni israeliani che hanno dato fuoco alla casa di una famiglia palestinese nel villaggio di Duma (Nablus), dove un bambino di 18 mesi, Ali Dawabsheh, è morto arso vivo e il fratello di 4 anni è rimasto gravemente ferito.
I coloni ebrei, secondo fonti locali hanno lanciato bottiglie incendiarie verso l’abitazione della famiglia e in altre vicine, scrivendo in ebraico, sulle pareti della stessa le frasi “Vendetta” e “Viva il Messia”.
Un gesto atroce che non può essere perdonato e che deve ricevere la condanna più dura da parte di tutti.

Fortunatamente la reazione non si è fatta attendere. Sono subito stati individuati i responsabili dell’atto terroristico ed è già partita dalla Knesset la petizione per chiedere l’estradizione dei coloni che chiama in causa il Primo Ministro Benjamin Netanyahu a cooperare pienamente con le autorità palestinesi.
Il numero richiesto di firme per l’approvazione della petizione doveva raggiungere quota 100.000 entro il 27 di agosto, e invece in soli pochi giorni ha già superato il numero di 140 mila aderenti.
Da ogni parte del mondo e anche sul web si è mobilitata una campagna a senso unico, condannando totalmente il gesto dei coloni, e i loro profili Facebook e Twitter sono stati chiusi per eccesso di insulti.
L’affair quindi non si placa, anzi, le stesse abitazioni dei coloni sono state assediate da manifestanti che hanno richiesto l’immediato processo e hanno lasciato sulle porte biglietti con scritto “Killer”, “Assassini”, “Estradizione per i coloni” ed è subito stato creato l’hashtag #JusticeForAli.
Chi ha aiutato i coloni nel folle gesto è già comparso davanti al tribunale palestinese e rischia fino a 15 anni di carcere.

Altrettanto triste è la notizia di Cecil, il leone simbolo dello Zimbabwe ucciso il primo luglio. Per cacciarlo, il dentista statunitense Palmer avrebbe pagato 50mila dollari.  Il felino era stato attirato dal dentista fuori dall’area protetta del parco, ferito con una freccia e poi finito dopo quaranta ore di agonia.  L’animale è stato scuoiato e decapitato.
Un portavoce della Casa Bianca ha definito il gesto “un barbaro atto” ed ha assicurato che la polizia sta dando la caccia ai responsabili.  Intanto sono giunte le condanne da parte di diversi capi di stato che “condannano con forza l’atto disumano e accolgono con favore l’ordine del Segretario di Stato John Jerry alle forze di sicurezza di fare ricorso per individuare i responsabili e consegnarli alla giustizia”.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si è detto “Sconvolto da questo terribile crimine.  Gli USA mantengono un atteggiamento ferreo contro la caccia illegale – continua Obama – quali che ne siano gli autori”.
Manifestazioni a Washington hanno visto la partecipazione di tremila persone per denunciare l’atto.

Ognuno è libero di decidere per quale causa combattere, ma forse sarebbe dovuta essere questa la reazione di tutti noi di fronte a questi fatti.  In realtà le reazioni scritte nell’articolo per l’uccisione di Ali sono in realtà quelle ottenute per Cecil, e viceversa.

Più di centomila persone hanno firmato in pochi giorni e hanno attaccato direttamente i responsabili che hanno ucciso Cecil, invocando anche l’azione della Casa Bianca.
Quanto tempo ci vorrà per raccogliere lo stesso numero di firme per chiedere giustizia per Ali?
Talmente assuefatti dal concetto che “lì si ammazzano, poverini” che ormai è normale, anzi, ci preoccupiamo se per una settimana non vediamo barbe lunghe e nere urlare qualcosa di incomprensibile.

Nello Zimbabwe ci sono ben altri problemi: c’è una dittatura infinita di Robert Mugabe, criminale internazionale che ha demolito il suo paese e ha portato il tasso di disoccupazione all’80%.
Cecil è stato l’ultimo dei tanti trofei di caccia di Palmer, ci sono numerose foto di lui accanto a rinoceronti, leopardi e altri animali rari, poco dopo la loro uccisione.  Quindi a cosa è dovuto il tanto clamore?
Tre mesi fa, nello stesso Zimbabwe, un 14enne è stato sbranato in un villaggio mentre dormiva in un campo e del ragazzo è stata ritrovata solo la testa. Ma chi se ne frega.

Forse Alì non è un leone o forse Cecil non è un bambino palestinese.
Forse di palestinesi ce ne sono ancora troppi e cominceremo ad accorgercene quando ne mancheranno trecento o quattrocento sulla faccia della terra.

O forse siamo semplicemente delle scatole vuote da riempire con notizie a piacimento, come si riempie una ciotola di un cane con i croccantini.
Riceviamo notizie, le immagazziniamo, vediamo la reazione della gente intorno a noi e a pappagallo urliamo tutti gli stessi slogan:
“Cecil!”
“JeSuisCharlie!”
“Foto arcobaleno!”
“ISIS!”

Se notiamo che stiamo urlando da soli, la smettiamo.

Forse non è di moda parlare di bambini arsi vivi, forse risulta noioso ricordare costantemente che a tre ore di aereo da qui muoiono cinquanta bambini al giorno, forse nel nostro immaginario l’Africa è quel posto fatto di steppa, elefanti, zebre e leoni e quindi tutto il resto non esiste, è collaterale.  O forse è troppo complicato pensare che ci siano persone che intorno a un tavolo decidano chi sfruttare e spazzare via da questo pianeta ogni giorno.

Nel frattempo a Calais, ci sono ancora migliaia migranti che cercano di attraversare l’Eurotunnel per raggiungere l’Inghilterra con il rischio di morire ogni giorno, a Ventimiglia chissà quanti sono rimasti bloccati al confine tra Francia e Italia e domani, magari stando al sole sulle nostre bellissime spiagge sentiremo che non lontano da noi il Mediterraneo ha risucchiato le vite di qualche centinaio di migranti.

Ma noi, non dimentichiamoci la crema solare, e piangiamo tutti per Cecil.

Questo articolo è una rielaborazione di fatti di cronaca che non vuole avere come obiettivo quello di sminuire una notizia rispetto ad un’altra ma vuole solo far notare come ci riduciamo a reagire ad una notizia senza nemmeno capire quanto peso le stiamo dando.  Purtroppo non dipende totalmente da noi, ma dal bombardamento mediatico che riceviamo ogni giorno. Sta a noi pensare quali siano le notizie davvero importanti e porci qualche domanda sul perché si parla di un argomento al posto di un altro.

FONTI:
Cecil, 146mila firme per estradare e processare il dentista in Zimbabwe

Casa incendiata, muore bambino palestinese di 18 mesi.  Hamas: “Coloni e soldati obiettivi legittimi”

“E chi è il leone Cecil?”. Zimbabwe scandalizzato per le reazioni occidentali: “se moriamo noi, nessuno si lamenta”

 

Sam

About Sam

di origine siriana, nato a Milano, triennale a Biella e magistrale a Torino in ingegneria dei materiali. Perché ho fatto tutto questo giro? Ancora non riesco a spiegarmelo. Ma forse proprio grazie a questo che sto imparando a vivere tra due mondi, a cogliere il bene di entrambi ma allo stesso tempo costringermi a cercare "il pelo nell'uovo" in ogni cosa, a mettere in discussione tutto e non dare per scontato nulla, dalla quotidianità alla religione. Se dovessi descrivermi in una frase citerei "Quis custodiet ipsos custodes" ovvero "Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?". Niente di più vero.

One Response to “Ali il leone e Cecil il palestinese”

  1. Matteo Pisu ha detto:

    “O forse siamo semplicemente delle scatole vuote da riempire con notizie a piacimento, come si riempie una ciotola di un cane con i croccantini.” Questa frase mi ha colpito parecchio poichè mi ha fatto subito pensare che ogni giorno pensiamo come “vediamo la reazione della gente” ma se “notiamo che stiamo urlando da soli, la smettiamo.”
    Cioè come se tutte queste informazioni le imagazzinassimo solo per sentirci persone megliori, informate. Di questi argomenti se ne parla eccome ma, effettivamente, non si agisce mai. Non si agisce per paura, la paura di rimanere soli e di rischiare la propria pelle. “Homo omine lupus” diceva Hobbes e anche noi che ci alziamo la mattina dicendo “Tanto il Mondo va così, che ci posso fare io?” siamo un lupo per gli altri uomini. E per gli animali.

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