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Per Erdogan, due piccioni con una fava

Cosa sta accadendo in Turchia?
Il modo migliore per capire cosa ha portato Erdogan a sporcarsi direttamente le mani è quello di ricostruire in breve gli eventi che hanno contraddistinto i rapporti tra curdi e governo turco dal 2013 ad oggi.

Per i neofiti, i nemici storici della Turchia che conosciamo oggi, sono i curdi. I curdi sono una minoranza etnica che vive tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. In tutti questi paesi, hanno sempre contestato i governi locali, chiedendo più diritti oppure l’indipendenza.
Particolarmente ostili al governo locale sono, appunto, i curdi turchi che, dal 1984, sostenendo il movimento clandestino armato PKK capeggiato da Abdullah Öcalan, famoso per numerosi attacchi terroristici in tutto il paese, sono sempre stati una spina nel fianco anche per i governi precedenti ad Erdogan.
Il PKK ha combattuto per molti anni contro la Turchia, finché non è stato firmato un cessate il fuoco nel 2013.  La tregua è stata messa in crisi dalla guerra in Siria, che ha rafforzato il braccio armato dei curdi siriani, chiamato Unità di protezione del popolo (YPG), e sostenuto dagli Stati Uniti.

Quasi in concomitanza con la decisione da parte della Turchia di concedere l’utilizzo della base aerea di Incirlik, il 20 luglio un attacco suicida ha colpito Suruç, al confine con la Siria, uccidendo 32 persone. L’attacco è stato rivendicato dall’ISIS, ma i curdi hanno accusato il governo turco di aver quantomeno favorito che accadesse.
Due giorni più tardi il PKK ha ucciso due poliziotti turchi a Ceylanpinar, dichiarandola come una ritorsione per l’attentato di Suruç.
Il 24 luglio le autorità turche hanno arrestato centinaia di presunti sostenitori dell’ISIS e del PKK, mentre gli aerei turchi hanno cominciato a bombardare i miliziani in Siria ed in Iraq.
In risposta all’ondata di arresti, il 26 luglio due soldati turchi sono morti nell’esplosione di un’autobomba a Lice.

E’ evidente la non casualità di questa escalation e la volontà di almeno una delle due parti di voler destabilizzare lo status quo creato nel 2013.  Quali sono le motivazioni?  Perché Erdogan ha deciso solo ora di colpire l’ISIS e non per esempio durante l’assedio di Kobane o in diversi frangenti? Perché solo ora sembra necessaria la creazione di una zona cuscinetto in Siria e di una no-fly zone?

E’ innegabile il fatto che la Turchia sia legata a doppio filo a qualunque vicenda curda poiché ne influenza sia la politica interna che estera.
Come detto in precedenza, le varie fazioni armate e politiche curde stanno traendo grande beneficio dalla destabilizzazione dell’area mediorientale a partire dal 2003, con la guerra in Iraq.  Il Kurdistan iracheno è oramai regione autonoma, più stabile e con una velocità di crescita maggiore rispetto al resto del paese.  Non è da escludere anche la possibilità di un futuro distacco dal governo centrale, con l’avallo degli Stati Uniti.
Con l’avvento della rivoluzione e della successiva guerra civile siriana, anche i gruppi siriani hanno cominciato a muoversi, inizialmente al fianco dell’Esercito Libero Siriano e poi indipendentemente per contrastare sia l’ISIS sia Bashar Al-Assad.

Il rafforzamento curdo non è stato altro che uno dei tanti effetti collateralI dei quattro anni di frontiere aperte, permettendo ai siriani l’asilo in terra turca, ma allo stesso tempo permettendo che ISIS, curdi e altri gruppi armati dei paesi circostanti ricevessero reclute e rifornimenti in funzione anti-Assad.  L’eccessiva indipendenza e influenza sul territorio di gruppi armati come l’YPG, hanno messo in guardia gli altolocati di Ankara: la possibilità di creare in futuro una regione autonoma o addirittura uno stato curdo nella ormai dilaniata Siria, porterebbe all’isolamento di Erdogan dal panorama mediorientale, tagliando quel ponte faticosamente creato dalla Turchia con l’Arabia Saudita.

113252-mdFonte: The Economist

 

Ecco che la creazione di una zona cuscinetto risulterebbe un toccasana per Erdogan e risolverebbe contemporaneamente tre problemi:
1) permetterebbe il ritorno di gran parte dei rifugiati (2 milioni su suolo turco fino ad ora) in Siria, permettendo loro anche il rientro ad Aleppo in condizioni di sicurezza poiché la no-fly zone, che si estenderebbe fino a 5 km da Aleppo, di fatto non permetterebbe più ai soldati di Bashar Al-Assad l’utilizzo dei barili bomba come arma contro i civili,

2) bloccherebbe l’obiettivo curdo di stabilizzare definitivamente il potere nella zona di confine tra Siria e Turchia, ipotesi confermata anche dal capo dell’HDP Selahattin Demirtas,

3) rafforzerebbe la popolarità del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (il partito di Erdogan ndr) che al momento sta subendo un calo della popolarità a seguito della perdita della maggioranza in parlamento alle ultime elezioni.

Partendo dall’ultimo punto dell’elenco, si possono analizzare i fattori interni che favoriscono Erdogan con le ultime decisioni prese.  Tra le tante conseguenze derivanti dal “cessate il fuoco” del 2013 firmato con Öcalan, uno dei più ovvi fu quello di accaparrarsi buona parte del voto curdo, che gli permise di vincere con larga maggioranza le ultime elezioni presidenziali a discapito di una piccola parte di elettori ultranazionalisti.

Adesso, con il successo del partito HDP (Partito Democratico del Popolo), socialista e nazionalista curdo, Erdogan è stato costretto a rivolgersi di nuovo all’estrema destra turca.  Per questo se adesso vuole formare un governo di coalizione (o anche vincere nuove elezioni) ha bisogno del loro sostegno: si tratta però di ultranazionalisti contrari alla prospettiva di stringere un accordo con i curdi.
Per convincerli, quindi, ha cominciato a bombardare il PKK.

L’offensiva di Ankara potrebbe riaccendere una guerra civile tra turchi e curdi, ma è un rischio che il presidente turco è disposto a correre.  Ecco però che nel frattempo ha colpito i due piccioni: da un lato ha guadagnato solidarietà e sostegno internazionale fornendo appoggio logistico e militare, mostrandosi attivo nella guerra contro l’ISIS, dall’altra può finalmente ricominciare a combattere la sua battaglia privata contro il PKK per acquisire di nuovo importanza sul piano della politica interna.

Fonte:

Gwynne Dyer – Il doppio gioco della Turchia sulla pelle dei curdi

Cosa sta succedendo tra la Turchia, i curdi e lo Stato Islamico

 

Sam

About Sam

di origine siriana, nato a Milano, triennale a Biella e magistrale a Torino in ingegneria dei materiali. Perché ho fatto tutto questo giro? Ancora non riesco a spiegarmelo. Ma forse proprio grazie a questo che sto imparando a vivere tra due mondi, a cogliere il bene di entrambi ma allo stesso tempo costringermi a cercare "il pelo nell'uovo" in ogni cosa, a mettere in discussione tutto e non dare per scontato nulla, dalla quotidianità alla religione. Se dovessi descrivermi in una frase citerei "Quis custodiet ipsos custodes" ovvero "Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?". Niente di più vero.