Categorized | In Evidenza, L'emerodromo

Bienvenue au cinéma ISIS – #Palmyra

Partiamo dalle notizie importanti: Gasparri ha twittato.
“L’Islam porta distruzione e guerra”.

Era da parecchio tempo che non sentivo sue notizie, forse dalla vicenda di Maria Pia (la ragazza tredicenne insultata su Twitter perché ha difeso Fedez, ndr).
Speravo si fosse preso una pausa di riflessione, che avesse studiato la soluzione a uno dei tanti problemi della nostra amata Italia.
O semplicemente che avesse cominciato a fare politica, seriamente.

Invece no, come succede in tutta Italia, non è cambiato nulla, nemmeno lui.
Ventisei anni da siriano musulmano e solo ora vengo a sapere che a Palmira l’Islam non c’è mai stato. E’ arrivato solo ora, sottoforma di ISIS e solo per distruggere delle rovine che fino ad oggi nemmeno lui conosceva.
Grazie Maurizio, grazie.

Dopo aver parlato delle cose importanti, è il momento di passare al lato “soft” delle notizie:

Cos’è Palmira?
In tempi antichi fu un’importante città della Siria, posta in un’oasi a 240 km a nord-est di Damasco. Fu per lungo tempo un vitale centro carovaniero, tanto da essere soprannominata la “sposa del deserto”.
Divenuta Patrimonio dell’Umanità, Palmira è in realtà il nome greco della città, in arabo “Tadmor” dalla quale proviene l’attuale nome della cittadina nata in prossimità delle rovine, molto dipendente dal turismo.
La sua storia è famosa soprattutto per una sua regina, Zenobia: per molti aspetti simile a Cleopatra, conquistò l’Egitto e osò sfidare Roma. Sotto il suo regno Palmira divenne un luogo di tolleranza, in cui religioni molto diverse tra loro convivevano in pace; un luogo di cultura, dove le arti venivano esercitate liberamente e ai massimi livelli; e un luogo di commerci, dove benessere e ricchezza erano a portata di molti. (1)

Ma la storia di Palmira, o Tadmor, è scritta anche con il sangue. E’ qui che dall’avvento di Assad padre, venne istituita la prigione più temuta da qualunque dissidente politico siriano.
Inizialmente base e centro di detenzione militare, divenne ufficialmente prigione negli anni ’80.
Fu in essa che, all’indomani dell’attentato fallito da parte dei Fratelli Musulmani ai danni dell’allora presidente Hafez Al-Assad, il fratello Rifaat, entrò con un plotone di esecuzione e uccise dai mille ai duemila prigionieri, appartenenti alla stessa fazione, nelle loro stesse celle.
La prigione fu chiusa nel 2001 ma riaprì il 15 giugno 2011, quando 350 persone vennero imprigionate in quanto manifestanti antigovernativi nella recente “Rivoluzione Siriana”.

tadmor

Per anni, fino al 2011, migliaia di turisti visitavano le antiche rovine romane inconsapevoli che a pochi chilometri di distanza venivano compiute torture quasi medievali sui carcerati, tanto da essere definita da Bara Sarraj una “sinfonia di paura”  nel suo libro “From Tadmor to Harvard”.

Prendendo questi due elementi non si fa altro che prendere lo specchio della Siria.
Dall’avvento di Assad padre la Siria è sempre stata come un frutto lucido e coloratissimo all’esterno ma marcio e puzzolente all’interno.  Come Palmira.

E adesso che Palmira è stata completamente conquistata dall’ISIS chiedo: pesa più di 200.000 morti? Vale più di 6 milioni di rifugiati in giro per il mondo? E’ più assordante di un missile RPG, di un barile pieno di esplosivo e chiodi lanciati su palazzi pieni di donne e bambini?

Difficile dare una risposta perché sia la vita di 200.000 persone sia il retaggio culturale di una nazione non possono mai tornare indietro.  Ma l’uomo può sempre riprodursi, ripopolare luoghi deserti e renderli migliori, le testimonianze di una gloriosa cultura no.  Come un cancro in una cellula sana, se danneggiate o modificate, non daranno più il significato che avevano originariamente.

E non biasimerei gli indignati dell’ultima ora e le testate giornalistiche italiane ed estere che si sono schierate in massa per annunciare l’avvento dell’orda barbarica targata “ISIS”, se non fosse che a più riprese non ho sentito lo stesso eco per altre opere “Patrimonio dell’UNESCO” distrutte, come il minareto della Grande Moschea di Aleppo.
Non ho sentito lo stesso allarmismo nemmeno quando il regime stesso e i ribelli, durante questi quattro anni di guerra civile, hanno colpito il sito archeologico di Palmira più volte.
Dati alla mano, se il colpevole è l’ISIS è l’apocalisse, se è colpa di altri allora sono “danni collaterali”.

Alla luce di questi fatti associo sempre di più l’ISIS a un grande cinema: all’inizio proiettava decapitazioni e morte, uno spettacolo che ha registrato “sold out” per qualche mese tenendoci incollati alle poltrone a partire dall’estate scorsa.
Evidentemente lo stile splatter fa più audience se associato a Tarantino e quindi la produzione ISIS ha dovuto tirar fuori dal cilindro un colpo di scena.
Ed ecco le scene di demolizione e desolazione che hanno lasciato noi spettatori con l’amaro in bocca, incapaci, ancora una volta, di reagire. Come in un finale deludente, ma dopotutto, prevedibile.

To be continued…

 

Sam

About Sam

di origine siriana, nato a Milano, triennale a Biella e magistrale a Torino in ingegneria dei materiali. Perché ho fatto tutto questo giro? Ancora non riesco a spiegarmelo. Ma forse proprio grazie a questo che sto imparando a vivere tra due mondi, a cogliere il bene di entrambi ma allo stesso tempo costringermi a cercare "il pelo nell'uovo" in ogni cosa, a mettere in discussione tutto e non dare per scontato nulla, dalla quotidianità alla religione. Se dovessi descrivermi in una frase citerei "Quis custodiet ipsos custodes" ovvero "Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?". Niente di più vero.