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Quanto è importante il genocidio armeno?

Si è già parlato tanto, anche con Rajaa su Zoomonde, lo scorso mese, del genocidio armeno e della dichiarazione di Papa Francesco che, domenica 12 aprile, fece ad una messa nella Basilica di San Pietro a Roma per celebrare i 100 anni del genocidio:

 

“La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come il primo genocidio del Ventesimo secolo; essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana”

 

La Turchia fino ad ora non accetta questa definizione a sue spese, ma se dovessimo andare a controllare la definizione di genocidio, non possiamo definirlo altrimenti. Il problema principale consiste nell’assumersi la responsabilità di questo che, come descritto in seguito, coinvolgerà diverse popolazioni.

Ma al di là del genocidio in sé, la domanda più importante che sorge dalla dichiarazione del Papa è un’altra: perché dare risalto ad alcuni genocidi piuttosto che altri più attuali?

Perché il Papa ha fatto una dichiarazione che nemmeno il presidente Obama o il presidente dell’OMS (Margaret Chan, ndr) si sono ancora permessi di fare?

Innanzitutto c’è da notare che, ancora una volta, un alto rappresentante di uno stato e di un’istituzione religiosa è caduto nel meccanismo della “memoria”, concetto ormai insulso e privo di senso nei giorni nostri.

Niente è più squallido di ascoltare l’eco dei morti di cinquanta e cento anni fa, e non degnare un solo sguardo al sangue che scorre sotto i nostri piedi.

Ma andiamo per ordine:

Prima di tutto, il genocidio armeno non è il primo del ventesimo secolo. Quello degli Herero fu il primo genocidio in assoluto, perpetrato nell’attuale Namibia ad opera dei colonialisti tedeschi contro la popolazione locale.

Prima degli armeni, prima degli ebrei, prima dei cambogiani, prima degli Hutu in Ruanda fino ai massacri indiscriminati nella ex Jugoslavia.

Se si vogliono capire meschinità come Auschwitz, si deve risalire a questa politica coloniale, del tutto particolare, dove per la prima volta veniva sperimentata in Africa la “soluzione finale” di un “problema coloniale” risolto con lo sterminio di gran parte di una popolazione di colore.

Infatti, nel 1904, fu il generale von Trotha, da Berlino ad utilizzare per la prima volta il termine vernichtungs-politik (politica di annientamento) e soprattutto fu proprio qui che cominciò la messa a prova di tutta una serie di strategie che compariranno nei successivi genocidi del XX-esimo secolo: vennero utilizzate tattiche di inseguimento (sparare a vista), l’occupazione e l’avvelenamento dei pozzi, l’istituzione dei primi campi di concentramento e l’inizio dei primi esperimenti di quella che successivamente sarà conosciuta come “eugenetica nazista”.

Fu così che all’inizio della rivolta la popolazione indigena contava 60-80mila persone. In pochi anni scomparve il 75-80%. Allo sterminio sopravvisse solo un quinto della popolazione Herero, che oggi chiede dei risarcimenti e delle scuse tutt’ora mai presentate.

Allora perché sembra che quello armeno sia più importante? Forse perché è un genocidio più “politico”, forse perché è uno dei “genocidi” che ha ispirato anche Hitler, o forse (sperando di no), perché a differenza di quello che sembra, è terribilmente attuale e delicato, considerando il fatto che le elezioni parlamentari turche sono alle porte?

Come descritto da Gwynne Dyer, i fatti che precedettero il massacro, chiamato Medz Yeghern (grande crimine), risalgono al 1908 con l’avvento dei “giovani turchi”, che presero il controllo dell’impero ottomano e che nel 1914 portò lo stato ad attaccare la Russia durante la prima guerra mondiale.

Annientata vicino alla città di Kars, l’armata turca si ritirò cercando di creare qualche forma di linea difensiva in corrispondenza dell’Anatolia orientale, regione dei cristiani armeni che da qualche decennio stavano lottando per l’indipendenza dell’impero ottomano.

Vari gruppi di rivoluzionari armeni avevano preso contatto con Mosca, offrendosi di provocare delle rivolte alle spalle dell’esercito turco nel momento in cui le truppe russe fossero arrivate in Anatolia. Quando ricevettero la notizia che l’esercito turco era in rotta, alcuni di loro pensarono che i russi stessero arrivando e agirono prima del tempo. Ma per un errore strategico, i russi non arrivarono mai.

Entrando nel panico, il governo turco ordinò la deportazione di tutti gli armeni nell’est della Siria, attraverso le montagne. E poiché non c’erano soldati regolari disponibili, furono soprattutto le milizie curde (che condividevano l’Anatolia orientale, ma erano ostili agli armeni) a scortare gli armeni verso sud. Molti miliziani curdi approfittarono dell’occasione per violentare, rapinare ed uccidere e la mancanza di cibo e clima fecero il resto. Per quanto non sia chiaro fino a che punto il governo turco fosse informato della tragedia, di certo non fece nulla per fermarla.

 

Allora perché è attuale? E perché è così delicata?

Attuale perché mai come adesso, nello scacchiere mediorientale, intere nazioni si stanno smembrando seguendo filoni etnici, principalmente in Siria ed in Iraq (prima tra tutte la divisione tra sunniti e sciiti), ma due delle grandi etnie citate in precedenza sono presenti anche nella Turchia attuale: i curdi e gli armeni.

Delicata perché i curdi stanno sfruttando al meglio la situazione in Siria ed in Iraq per poter mettere le fondamenta di una indipendenza regionale sfruttando l’instabilità dei governi attuali e gli armeni, sotto attacco da altri gruppi fondamentalisti esterni alla rivoluzione siriana, stanno facendo altrettanto, militando nella Forza Nazionale di Difesa, organismo parallelo all’esercito regolare di Assad.

Ecco che quindi una dichiarazione del Papa può risultare ambigua di questi tempi, se si considera il fatto che la Turchia ha le elezioni parlamentari alle porte, elezioni che permetterebbero al paese di agire più celermente nei confronti della guerra civile siriana e di prendere decisioni più concrete sullo scacchiere mediorientale in generale.

Per molti potrebbe essere intesa come un incitamento all’autodeterminazione, alla legittimazione di vecchie diatribe etnico/territoriali che risulterebbero al momento una spina nel fianco per la Turchia di Erdogan. Se fosse così, sarebbe destabilizzante per l’intera regione, allontanando ancora di più la possibilità di una soluzione in Medio Oriente.

Sam

About Sam

di origine siriana, nato a Milano, triennale a Biella e magistrale a Torino in ingegneria dei materiali. Perché ho fatto tutto questo giro? Ancora non riesco a spiegarmelo. Ma forse proprio grazie a questo che sto imparando a vivere tra due mondi, a cogliere il bene di entrambi ma allo stesso tempo costringermi a cercare "il pelo nell'uovo" in ogni cosa, a mettere in discussione tutto e non dare per scontato nulla, dalla quotidianità alla religione. Se dovessi descrivermi in una frase citerei "Quis custodiet ipsos custodes" ovvero "Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?". Niente di più vero.